Airbnb, uno dei colossi della sharing economy, ha annunciato che più di 1 milione di persone hanno scelto un alloggio sul suo marketplace per trascorrere il Capodanno 2016. In totale i viaggiatori, aventi 170 diverse nazionalità, hanno scelto una meta Airbnb in 150 paesi. Scendendo nei particolari circa 47.000 persone hanno soggiornato a New York City, 45.000 – Parigi, 35.000 a Londra e 25.000 a Sydney, Tokyo, Berlino, Barcelona, Amsterdam, Roma e Miami. Il Giappone è il Paese che per le vacanze del Capodanno 2016 ha fatto segnare la maggiore crescita rispetto all’anno precedente: tre città giapponesi, infatti, sono nella top 10 delle destinazioni che hanno visto il maggior incremento percentuale delle prenotazioni rispetto al 2015. Fukuoka è in cima alla lista con un aumento del 1.287% delle preferenze mentre Osaka e Kyoto hanno visto aumentare le prenotazioni rispettivamente del 678% e del 417%. L’America Latina è un’altra regione del mondo che, guidata dal grande interesse per Cuba, sta diventando sempre più popolare su Airbnb. Altre mete del Sud America preferite dai viaggiatori Airbnb sono state le spiagge di di Acapulco in Messico e Guaruja in Brasile. Venendo all’Europa i principali incrementi rispetto all’anno scorso hanno riguardato Carcassonne, Perpignan, Opal Coast e il Sud della Bretagna in Francia e la Foresta Nera in Germania. Le tipologie di abitazioni scelte dai guest Airbnb per Capodanno comprendono anche alloggi particolari come le capanne nel bosco, imbarcazioni, castelli e isole private. Tra le mete prescelte, da venti viaggiatori Airbnb, figura anche la leggendaria Isola di Pasqua. Gli alloggi più costosi prenotati sul principale marketplace turistico della sharing economy per il Capodanno 2016 sono stati in Repubblica Dominicana, Saint-Barthélemy e Vail e Steamboat Springs in Colorado negli USA dove per una notte sono stati spesi oltre US$ 4.000. I dati resi noti da Airbnb, confermano l’enorme interesse nel mondo per il fenomeno degli alloggi condivisi e di come la sharing economy sta aiutando l’ulteriore sviluppo del turismo e dei viaggi. Sempre la stessa Airbnb aveva reso noto a dicembre 2015, come SocialEconomy via aveva raccontato, che oltre 250 Mila persone avevano scelto un alloggio della società californiana per trascorrere il weekend del Thanksgiving.
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Più di 1 milione di persone hanno scelto Airbnb per il Capodanno 2016
Airbnb, uno dei colossi della sharing economy, ha annunciato che più di 1 milione di persone hanno scelto un alloggio sul suo marketplace per trascorrere il Capodanno 2016. In totale i viaggiatori, aventi 170 diverse nazionalità, hanno scelto una meta Airbnb in 150 paesi. Scendendo nei particolari circa 47.000 persone hanno soggiornato a New York City, 45.000 – Parigi, 35.000 a Londra e 25.000 a Sydney, Tokyo, Berlino, Barcelona, Amsterdam, Roma e Miami. Il Giappone è il Paese che per le vacanze del Capodanno 2016 ha fatto segnare la maggiore crescita rispetto all’anno precedente: tre città giapponesi, infatti, sono nella top 10 delle destinazioni che hanno visto il maggior incremento percentuale delle prenotazioni rispetto al 2015. Fukuoka è in cima alla lista con un aumento del 1.287% delle preferenze mentre Osaka e Kyoto hanno visto aumentare le prenotazioni rispettivamente del 678% e del 417%. L’America Latina è un’altra regione del mondo che, guidata dal grande interesse per Cuba, sta diventando sempre più popolare su Airbnb. Altre mete del Sud America preferite dai viaggiatori Airbnb sono state le spiagge di di Acapulco in Messico e Guaruja in Brasile. Venendo all’Europa i principali incrementi rispetto all’anno scorso hanno riguardato Carcassonne, Perpignan, Opal Coast e il Sud della Bretagna in Francia e la Foresta Nera in Germania. Le tipologie di abitazioni scelte dai guest Airbnb per Capodanno comprendono anche alloggi particolari come le capanne nel bosco, imbarcazioni, castelli e isole private. Tra le mete prescelte, da venti viaggiatori Airbnb, figura anche la leggendaria Isola di Pasqua. Gli alloggi più costosi prenotati sul principale marketplace turistico della sharing economy per il Capodanno 2016 sono stati in Repubblica Dominicana, Saint-Barthélemy e Vail e Steamboat Springs in Colorado negli USA dove per una notte sono stati spesi oltre US$ 4.000. I dati resi noti da Airbnb, confermano l’enorme interesse nel mondo per il fenomeno degli alloggi condivisi e di come la sharing economy sta aiutando l’ulteriore sviluppo del turismo e dei viaggi. Sempre la stessa Airbnb aveva reso noto a dicembre 2015, come SocialEconomy via aveva raccontato, che oltre 250 Mila persone avevano scelto un alloggio della società californiana per trascorrere il weekend del Thanksgiving.
Wimdu, ecco le mete preferite dagli italiani per le vacanze di Natale e Capodanno
Il vecchio adagio “Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi…” sembra essere tramontato nell’era della sharing economy. Gli italiani si scoprono meno tradizionalisti che in passato e vivono anche il Natale come occasione per regalarsi quel viaggio tenuto a lungo nel cassetto. Wimdu – la più grande piattaforma europea per la ricerca di appartamenti privati per vacanze – rivela la classifica delle città più prenotate sulla sua piattaforma e anticipa preferenze e tendenze di viaggio degli italiani che stanno già pensando a cosa mettere in valigia e come festeggiare le feste natalizie.
Per quanto riguarda le vancanze di Natale, la classifica è dominata da Parigi. Più che la ricerca di “nuove” mete europee da scoprire, gli italiani preferiscono, quindi, puntare su una certezza e sull’eterno fascino e eleganza della capitale francese. Al secondo posto Londra, meta preferita da coloro che hanno un’anima più rock e underground. A completare il podio troviamo Roma, complice il Giubileo che prenderà il via il prossimo 8 dicembre. La classifica natalizia continua con New York e Berlino. Affascinanti per motivi completamente diversi, le due città sono sempre molto amate dagli italiani che nel primo caso subiscono l’intramontabile fascino degli States, mentre di Berlino amano la carica innovativa e il fermento culturale.
Per quanto riguarda il Capodanno Parigi svetta anche in questo ranking. A seguire Roma, che ruba la seconda piazza a Londra che si piazza terza. Qualche curiosità arriva proseguendo nella classifica: Firenze infatti balza al quarto posto puntando sul mix tra cultura e l’ottimo binomio eno-gastronomico. La movida e le miti temperature di Barcellona consentono alla città della Catalogna di conquistare il quinto meritato posto. Dopo Amsterdam e Nizza, compare un’altra città italiana: Torino. Sono molti infatti gli italiani che trascorreranno il capodanno all’ombra della Mole Antonelliana. Nessuna traccia invece di Milano nelle prime 10 posizioni delle due classifiche, che si già finito l’effetto EXPO?
Su Indiegogo il crowdfunding per il documentario anti Juventus
È partita ieri su Indiegogo una campagna di crowdfunding che sicuramente farà discutere tanto e dividerà l’Italia del pallone. Si tratta del progetto, presentato nell’ambito del Festival del Cinema di Roma alla presenza dei promotori e degli ex calciatori Sergio Brio della Juventus e Sebino Nela della Roma, Odiosa Juve. Come raccontato nella pagina Facebook di Cineama Odiosa Juve è un documentario che vuole essere “un ironico, divertente, documentato viaggio attraverso le disavventure arbitrali che, di tanto in tanto, hanno agevolato il cammino della vecchia signora”. Nelle pagine web del colosso del crowdfuding Indiegogo la casa di produzione Cineama e il regista Lorenzo Minoli, organizzatori del finanziamento collettivo, scrivono che voglio realizzare “un documentario che vuol raccontare la declinazione di tutte le sfumature emotive che vanno oltre le maglie bianconere: rabbia, antipatia, addirittura odio”. Si vedranno immagini che hanno fatto la storia del calcio, storie mai raccontate, curiosità e aneddoti riemersi dalla memoria di coloro che, in diverse epoche, “si sono trovati in qualche modo a dover fare i conti con la corazzata Juve”. I promotori dell’iniziativa precisano, cosa importante essendo un documentario, che nel titolo ha una connotazione”contro”, che il loro racconto cinematografico vuole “dare forma e contenuto a una comunità di persone” che condividono l’anti juventinità “non con l’insulto, tanto meno con la violenza, ma con la puntuale, costante, perfino ironica denuncia di quanto è accaduto in passato”.
Il regista Lorenzo Minoli, con un passato in USA, ha al suo attivo un documentario sull’Unione Sovietica di Gorbachev, la produzione della serie televisiva La Bibbia e, con la casa di produzione da lui fondata, la Five Mile River Films, quella della miniserie Giulio Cesare e del film per la TV Il Dono di Nicholas. Nella sua carriera Minoli ha collezionato il prestigioso Primetime Emmy Award per la miniserie Joseph con Ben Kingsley, altre tre nominations per il Primetime Emmy Award e la vittoria del Christopher’s Award. Come si può leggere nella pagina Wikipedia, Minoli in Italia ha fondato la Flying Dutchman Produzioni il cui primo film, nel 2010, La Marea silenziosa è stato il primo lungometraggio italiano sottotitolato in cinese.
Obiettivo del crowdfuding è raccogliere 200 mila Euro. Per partecipare ci sono 59 giorni di tempo e i perk sottoscrivibili vanno da un minimo di 3€ a un massimo di €3.000.
Ultima cuorisità: come riportato da alcuni media, il regista è torinese di nascita e juventino di fede calcistica.
Odiosa Juve (video YouTube / Cineama)
http://www.youtube.com/watch?v=w4PVwpM4jCw&sns=em
Aldo Agroppi per Odiosa Juve
Loveitaly!, il crowdfunding che vuole supportare il patrimonio artistico e culturale italiano
Nell’era della sharing economy è possibile supportare il patrimonio artistico e culturale italiano attraverso il crowdfunding. Questo è l’obbiettivo di LoveItaly!, neonata associazione senza fini di lucro dedita a tutelare, promuovere e valorizzare il patrimonio culturale Italiano che attraverso il finanziamento collettivo vuole sostenere i progetti di restauro in tutta Italia. LoveItaly!è stata creata da LVenture Group, holding di partecipazioni in startup digitali, quotata presso Borsa Italiana, ed un gruppo internazionale di coordinatori, esperti di settore e volontari dalle diverse ed integrate professionalità, accomunati dall’amore per le bellezze artistiche italiane. L’associazione opererà in collaborazione con i Ministeri e le Sovrintendenze nazionali e locali, gli istituti di belle arti ed i musei, le diverse autorità locali e nazionali,i rappresentanti della Chiesa, gli istituti superiori, tra i quali le Università e le Accademie italiane ed internazionali. Obiettivo dell’associazione è di raggiungere sia i milioni di visitatori che arrivano in Italia, sia il grandissimo numero di persone nel mondo appassionate della storia e cultura italiana. Per centrare il target Loveitaly! utilizzerà una piattaforma crowdfunding. In occasione del lancio dell’iniziativa Luigi Capello, CEO di LVenture Group e co-founder di LoveItaly! Sul suo blog ha scritto: “Molti di voi si chiederanno cosa c’entra una realtà di investimento come la nostra con un progetto come LoveItaly!”. “La risposta è nella formula del Give Back, il dare qualcosa alla società in cui viviamo. Come azienda, LVenture Group ha a cuore la propria responsabilità sociale: anche se il nostro business è creare aziende e generare capitali, siamo convinti dell’importanza di partecipare attivamente per migliorare la società.” “Per questo motivo abbiamo lanciato LoveItaly!. Crediamo che questo progetto, che sostiene l’arte e la cultura in maniera innovativa, rientri pienamente in questa linea di pensiero e ci permetta di collegare la nostra attività ad una causa nobile”. Con il lancio, LoveItaly! ha ufficialmente aperto le prime due campagne di crowdfunding: la prima riguarda il restauro del Cubicolo 3 della Domus del Centauro a Pompei, una stanza del II secolo a.C. ricca di decorazioni in stile pittorico. Il secondo progetto è il restauro, ad opera dell’Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro, di uno sarcofago di età imperiale custodito nella Galleria Corsini di Roma.
Wimdu, ecco i 5 migliori mercati d’Europa dove mangiare lo street food più gustoso
Wimdu – la più grande piattaforma europea per la ricerca di appartamenti privati per vacanza ha stilato la classifica dei cinque migliori mercati in Europa dove provare lo street food, il cibo della sharing generation, più gustoso.
Helsinki
Kauppatori – letteralmente Piazza del Mercato – è la piazza centrale della città, dove ha luogo il più importante mercato di Helsinki. Qui si gusta pesce fresco, cucinato al momento, tra cui spiccano senza dubbio salmone e aringhe. Proprio le aringhe sono le regine di ottobre, il mese più importante per Kauppatori, quando i pescatori entrano nel porto per vendere questi pesci direttamente dalle loro barche. Se si preferisce la carne è, invece, possibile optare per quella di renna.
Berlino
Berlino è una delle città più cosmopolite in Europa, con una vita notturna incredibilmente attiva; è naturale che qui lo street food abbia acquisito nel corso degli anni sempre più importanza. All’inizio era il currywurst, poi il kebab, ma oggi è possibile trovare ogni genere di specialità, dall’Estremo Oriente ai tradizionali hamburger. Luogo molto amato dai berlinesi è il Neue Heimat, a Friedrichshain, qui ogni domenica, in un capannone industriale riconvertito, molti produttori locali scatenano l’acquolina con delizie di ogni tipo.
Bristol
Per provare uno degli street food più innovativi del Regno Unito, l’Eats Market di Bristol è il posto da non lasciarsi scappare. Ogni secondo e quarto giovedì del mese al Temple Quay di Bristol una varietà di street food truck e produttori locali arrivano per proporre le loro insolite ricette. Tra i più famosi i Feastie Boys che preparano ciambelle ripiene di petto di manzo e i Gopal Curry Shack, famosi per i loro piatti vegani al curry.
Madrid
La Spagna negli ultimi anni si è imposto come uno dei paesi più innovativi nello scenario gastronomico; chef del calibro di Ferran Adrià, Miguel Sánchez Romera e Joan Roca hanno dettato nuovi incredibili standard. Accanto alla passione per la cucina delle stelle Michelin, la penisola iberica è da sempre casa di un meraviglioso street food. Il miglior indirizzo in questo caso è il Madreat. Questo mercato ospita molti produttori indipendenti che offrono un’incredibile varietà di scelta; qui è possibile trovare piatti provenienti da tutto il mondo reinterpretati dalla sensibilità e passione dei vari cuochi.
Palermo
Palermo, da sempre è sinomimo di marcati storici e di cibo. Il mercato più antico è quello di Ballarò: un vero tripudio di delizie e primizie siciliane: verdure crude e pesce fresco, ma anche specialità tipiche dello street food. Come le panelle (frittelle di farina di ceci), crocchè di papate, polpo bollitto, pane câ meusa (il panimo con la milaza), lo sfinciuni (una simil pizza con pomodoro e cipolla) e fritti di ogni tipo. Altro mercati storico della città è quello della Vucciria, immortalato anche in un celebre dipinto di Renato Guttuso.
Crowfunding, Equinvest attrae nuovi soci
Equinvest, una delle piattaforme italiane di equity crowdfunding autorizzata dalla Consob attrae nuovi soci. I business angel entrati nel capitale di Equinvest con una quota di 150 mila euro supporteranno la crescita della piattaforma di venture capital online che consente a investitori, istituzionali e retail, di investire in startup innovative. “Utilizzeremo i proventi derivanti dall’operazione per supportare il lancio delle nostre iniziative, in particolare nelle città di Roma e Milano – spiega Fabio Bancalà amministratore delegato di Equinvest che ha già all’attivo una importante esperienza nel mondo del Venture Capital con una società di investimento americana, la Quorumm Venture Partners di Washington. “Abbiamo deciso di fare da apripista alle future startup che si affideranno alla nostra piattaforma per crescere e dimostrare al mercato di essere in grado di coinvolgere investitori” – ha aggiunto Bancalà. Il mercato dell’equity crowdfunding in Italia rappresenta una enorme opportunità per le startup che oggi fanno i conti con un’industria del venture capital che conta troppo pochi player di riferimento nazionale. Riuscire a coinvolgere i privati nell’investimento in innovazione attraverso il finanziamento di attività dell’economia reale rappresenta la vera chiave di volta per alimentare l’ecosistema delle startup italiane. Equinvest è stata supportata nelle attività dallo studio milanese Trevisan & Cuonzo Avvocati, che attraverso il progetto 4Innovation, un programma voluto dai partners dello studio a supporto del mondo delle startup, ha seguito gli aspetti legali dell’operazione. “Abbiamo seguito Equinvest nella fase più delicata del round – spiega Sasha Picciolo avvocato dello studio legale Trevisan&Cuonzo e responsabile del progetto 4Innovation – nella redazione dei patti parasociali e nella modifica dello Statuto sociale”. Con 4Innovation lo studio Trevisan&Cuonzo si conferma in prima linea nel sostegno al mondo italiano dell’innovazione.
Antlos: il boat sharing in Italia ha un alto potenziale
Nella settimana in cui si svolge una delle regate italiane più note, la Barcolana di Trieste, SocialEconomy torna a occuparsi di boat sharing. Dopo avervi presentato dodici “Uber del mare” e la storia di Sailo e Click&Boat andiamo a approfondire, tramite una conversazione, con Michelangelo Ravagnan il percorso di Antlos
Come è nata l’idea di fondare Antlos?
Antlos nasce con l’idea di voler rendere le vacanze in barca accessibili ad un vasto pubblico composto da turisti e viaggiatori che desiderano vivere un’esperienza in mare. Fin dalla nascita, il progetto sposa pienamente i principi della sharing economy. Più che in qualsiasi altro settore, siamo consapevoli infatti che i privati proprietari di imbarcazioni hanno l’esigenza di cercare di ridurre i grandi costi di gestione e di manutenzione che sono chiamati a sostenere.
In Italia ci sono molti operatori attivi nel boatsharing, il mercato è davvero cosi ampio?
Si tratta di un mercato potenzialmente molto vasto, sopratutto nel caso in cui le offerte sono indirizzate al settore del turismo nautico e costiero. Antlos si propone infatti come la soluzione ideale anche per tutti gli utenti che non hanno competenze nautiche e che in molti casi non hanno mai considerato di trascorrere una vacanza in barca.
Chi sono i vostri competitor?
Mi permetto di affermare che non ci sentiamo in competizione con nessuna altra realtà che opera in questo settore, pensiamo unicamente a fare il nostro lavoro al meglio. Vediamo invece una grande opportunità futura nel poter creare sinergie e collaborazioni con altri operatori che ci potranno aiutare a raggiungere gli obbiettivi previsti.
Siete interessati a valutare una possibile espansione oltre l’Italia?
Le nostre offerte sono già a livello internazionale, proponiamo vacanze ed uscite in barca in tutte le location principali del Mar Mediterraneo. Inoltre, tra poche settimane, sarà possibile prenotare una vacanza in barca nel Mar dei Caraibi.
E’ possibile un consolidamento in italia tra società del boat sharing?
Come detto precedentemente, noi di Antlos crediamo fortemente che ci siano le possibilità di creare delle belle sinergie con altre realtà che operano nello stesso settore. Rispetto ad altri operatori abbiamo un approccio un po’ diverso, infatti, noi non ci occupiamo di mediazione. Noi, semplicemente, forniamo alle parti (skipper e viaggiatori) una piattaforma web dove questi possono entrare in contatto diretto. Nonostante ciò, l’obbiettivo comune di voler rendere le esperienze in barca alla portata di tutti ci permetterà sicuramente di trovare il modo di collaborare.
In Bluewago recentemente è entrato un investitore (Venetowork) che da quanto si intuisce contribuirà nei nuovi investimenti. Avere risorse finanziare, è indispensabile per crescere in questo mercato? Se si come pensate di poter finanziare ulteriormente la vostra società?
Bluewago è una bella realtà italiana con la quale speriamo un giorno di poter collaborare. Loro hanno un approccio più da tour operator rispetto al nostro progetto, e sono felice che abbiano trovato un partner strategico come Venetowork. Noi stiamo facendo un percorso diverso in termini di fundraising, puntiamo a sviluppare il nostro business facendoci sostenere in questa prima fase di crescita da business angel e venture capital.
In italia la nautica è sempre stata percepita come uno sport o uno svago elitario, la sharing economy invece va nella direzione opposta. Perche secondo voi le due cose possono coesistere?
Uno dei motivi principali che ci ha spinto a realizzare Antlos, è proprio il desiderio di abbattere la barriera della percezione che il charter su imbarcazioni è un settore esclusivo e sempre associato al mondo del lusso. In realtà la collaborazione con privati ci permette di offrire vacanze su bellissime imbarcazioni a partire da 50/60 euro al giorno a persona.
Home sharing, ridesharing sono, sia in Italia che all’estero, oggetto di dibattito politico per via delle loro regolamentazione. Secondo voi si porrà la stesso problema nel P2P delle imbarcazioni? Sentite l’esigenza di una regolamentazione?
In riferimento all’ultima normativa italiana, questo settore è già regolamentato. Esiste, infatti, un decreto legge sul noleggio occasionale che permette a privati di svolgere l’attività in forma non imprenditoriale con l’applicazione di imposta sostitutiva del 20% fino ad un massimo di 42 giornate di noleggi annuali.
Wimdu: Roma, Milano e Venezia guidano la classifica delle città più amate dai turisti
Quali sono le mete italiane preferite dagli stranieri? Quali città suscitano interesse e curiosità tali da valere un viaggio, breve o lungo che sia, nel nostro Paese? Wimdu, la più grande piattaforma europea per la ricerca di appartamenti privati, ha stilato la classifica delle 10 città italiane più prenotate tramite la propria piattaforma di home sharing nel 2015. Complessivamente dallo studio emerge che il Bel Paese che piace sempre di più non solo agli stranieri ma anche agli italiani. Analizzando l’origine delle prenotazioni, 10 sono i Paesi da cui sono fioccate le maggiori richieste di prenotazioni nella penisola italica e un dato colpisce piacevolmente: dopo la Germania è proprio l’Italia il secondo Paese che viaggia alla scoperta di se stesso, seguito da Spagna, Paesi Bassi, Francia, Svizzera, Danimarca, Polonia, Austria e Regno Unito. Nella top ten di Wimdu, che conta in Italia oltre 40.000 appartamenti, Roma occupa la prima posizione, “un salotto da attraversare in punta di piedi” come sosteneva l’indimenticato Alberto Sordi facendo probabilmente riferimento alle numerose bellezze artistiche di una città ricca non solo di arte e storia ma anche di eventi, locali suggestivi e proposte che appagano ad ogni età e che attirano sempre di più tedeschi (33%) e spagnoli (21%). Secondo posto invece per Milano, ad amarla soprattutto i tedeschi (28%) e gli italiani (22%). Molto probabile che a incidere sulle presenze nel capoluogo lombardo sia stata il successo di Expo. Terzo posto per Venezia, quarto per Firenze. E se Venezia ha conquistato i tedeschi (43%), a Firenze la parte dei leoni l’hanno fatta fino ad ora gli spagnoli (26%). Proseguendo nella classifica Wimdu, al quinto posto compare il Lago di Garda, meta sempre più apprezzata dagli svizzeri, seguito al sesto e settimo posto rispettivamente da Torino e Verona. L’ottavo e il nono posto vedono da un lato Napoli, che Stendhal ha addirittura acclamato come “la città più bella dell’universo” e dall’altro Bologna, fenomenale anche per la sua eccellente tradizione gastronomica tanto apprezzata da Artusi che invitava a fare un riverenza “quando sentite parlare della cucina bolognese, ché se la merita”. Chiude il ranking delle delle 10 città italiane più gettonate per vacanze e short week-end, Pisa. Wimdu con le oltre 300.000 soluzioni abitative in più di 150 Paesi in tutto il mondo e più di 250 dipendenti dislocati tra le sedi dell’headquarter di Berlino e la città di Lisbona è la più grande piattaforma europea per la ricerca di appartamenti privati in città. Attualmente la il marketplace conta più di 1,2 milioni di utenti registrati.
Riuscirà la sharing economy a decollare anche in Italia?
Qualche settimana fa su CapX, testata britannica che aggrega ogni giorno le migliori news da oltre 3,5 milioni di blog, giornali e testate accademiche fondato nel 2014 dal think tank Center for Policy Studies per promuovere il capitalismo democratico, è stato pubblicato un articolo in cui si argomentava sui perché in Italia la sharing economy sta facendo fatica a affermarsi. Autrice del pezzo è Beatrice Faleri, una studentessa italiana del King’s College di Londra e Senior Editor of Perspectives Contributor del collage.
SocialEconomy ha incontrato l’autrice per capire meglio il suo scetticismo sulla diffusione dell’economia della condivisione nel nostro Pese.
Nel suo articolo esprime in tre punti (sintetizzabili in a)poco senso civico b) paura di una reale libera concorrenza, c) paura del governo per le lobby che mirano a non incentivare la libera concorrenza) il perché in italia la sharing economy non decolla. Ci può articolare meglio questi tre punti?
Sicuramente ci sono problemi di fondo – debole crescita economica, peso della burocrazia, ecc – che influiscono in modo significativo sul “sottosviluppo” della sharing economy in Italia, tuttavia le ragioni che offro nel mio articolo sono quelle che si notano con maggiore evidenza osservando il contrasto fra l’Italia e il Regno Unito.
La mancanza di senso civico è, secondo me, fondamentale, e purtroppo molto difficile da eradicare. È un tratto tipicamente italiano che si nota in particolare per il contrasto con il resto d’Europa. Anche in una città cosmopolita e affollata come Londra, i graffiti sono pochi, le strade pulite e i servizi pubblici rispettati ed efficienti. Esemplare è il caso dei parchi: mentre a Londra sono mantenuti in maniera impeccabile e le varie attività che vi si svolgono attentamente vigilate, in Italia – e in particolare a Roma – i gradi parchi sono ridotti a uno stato di degrado mai visto prima. Certo, questo è anche una questione di amministrazione pubblica, ma c’è molto che i cittadini romani possono imparare dai londinesi. Il senso di responsabilità verso la comunità e l’ambiente urbano è infatti assolutamente necessario per lo sviluppo della sharing economy.
Per quanto riguarda la lotta di albergatori, tassisti e altri contro la concorrenza sleale di Airbnb, Uber ecc; credo che anche questo sia un tratto tristemente italiano. Le tasse eccessivamente alte e la pletora di parametri, requisiti, qualifiche e misure a cui si devono conformare le attività economiche regolamentate dallo stato rendono la nascita di nuove imprese estremamente difficile, e mantengono i prezzi dei servizi artificialmente alti.Credo che la risposta violenta di tassisti e albergatori a Uber e Airbnb, accusati di concorrenza sleale, sia una reazione comune in un epoca di profonodo cambiamento economico e tecnologico. Soprattutto i settori dei trasporti e dell’ospitalità stanno cambiando profondamente e votandosi a nuovi modelli di business, rendendo quelli tradizionali obsoleti: come in ogni ‘rivoluzione tecnologica’ vi è un momento di passaggio e forte attrito fra modelli economici antiquati e innovativi. In Italia stiamo attraversando questo momento di passaggio, e ci vorrà del tempo prima che l’economia e la società si adattino al cambiamento.
Il governo, d’altro canto, è ancora fortemente sbilanciato a favore di queste lobby, che attraverso scioperi e donazioni possono influenzare profondamente l’operato politico.
La diffidenza verso il libero mercato è, infine, uno dei tratti fondamentali che dividono nord e sud. Ha radici nelle vicissitudini storiche della penisola e influisce in buona parte alle differenze economico-sociali tuttora esistenti nel paese.
In alcune città i servizi sharing sono vittime di atti vandalici. Lei crede che questo farà fuggire quelle società (soprattutto quelle straniere) che avrebbero avuto voglia di investire o quelle che hanno già investito in italia nel settore dell’economia della condivisione?
Sarebbe un peccato se queste società abbandonassero un mercato così ricco di potenziale come quello italiano. Dubito che nonostante gli atti vandalici, aziende come Car2Go rinuncino del tutto all’Italia, ma è possibile che i loro servizi vengano meno in città dove l’uso improprio di questi sia più frequente. Credo, comunque, che l’Italia debba puntare a attività di condivisione che responsabilizzino chi usufruisce del servizio. In progetti come il car sharing, infatti, il servizio viene offerto da un’azienda, in un modello che prevede la condivisione ‘dall’alto verso il basso’. Attività come Airbnb e Blabla Car, invece, fanno si che i cittadini possano sia offrire che usufruire del servizio in questione. Questo tipo di attività, che disincentivano il vandalismo, sono il punto di partenza per un processo di responsabilizzazione sociale su cui bisognerebbe puntare per realizzare un modello di sharing economy di successo in Italia.
Sarebbe necessario a suo giudizio un atto politico del governo italiano che sostenga senza mezzi termini la creazione di nuove iniziative imprenditoriali nel settore della sharingeconomy?
La nascita della sharing economy è un processo prima di tutto spontaneo. I servizi di condivisioni sono creati e si sviluppano inizialmente dove c’è necessità, e si innestano nel tessuto socio-economico di una comunità in modo diverso, a seconda delle varie condizioni economiche, tecnologiche, sociali e culturali che incontrano. Per questo sono restia a suggerire che uno sforzo centralizzato, che non faccia differenze fra i livelli di sviluppo di tali condizioni nelle varie città possa avere sicuro successo. Una volta che si vengano a creare dei nuclei di crescita della sharing economy, tuttavia, è compito del governo di sostenere tali sforzi e incoraggiare il loro sviluppo e affermazione. A mio parere, il problema fondamentale che le piccole imprese innovative incontrano in Italia, a prescindere che siano organizzate sul modello della sharing economy o no – è il peso fiscale e della burocrazia che rende l’avvio e il primo sviluppo di un’impresa estremamente difficile. Il governo – che comunque ha fatto grandi progressi negli ultimi due anni nel riconoscere e analizzare lo sviluppo di progetti di condivisione – ha il compito di facilitare lo sviluppo di piccole imprese innovative e facilitare gli investimenti locali ed esteri.
Milano è un esempio di città che si è molto spesa nel supporto alla sharing economy. Conosce l’esprienza milanese? come la giudica?
Ho letto e sentito molto degli (ottimi, da quanto ho sentito) servizi di sharing economy a Milano. So, da fonti esterne, che soprattutto in vista dell’EXPO in città sono nate numerosissime iniziative volte a sviluppare tali servizi e dare l’opportunità ai visitatori di conoscere Milano con gli occhi dei cittadini. Un progetto su tutti è Sharexpo, organizzato dall’aministrazione e dai cittadini milanesi per favorire iniziative di condivisione di auto, cucine, camere private.
Nel mio articolo collego lo sviluppo della sharing economy a Milano con le radici storiche e culturali della città. Guida, insieme a Torino, della rivoluzione industriale italiana nel diciannovesimo secolo, Milano si è distinta come centro culturale e economico di intellettuali liberisti e imprenditori. Lo spirito di innovazione, libero mercato e progresso non ha abbandonato Milano che ancora oggi è in cima alla classifica italiana per i servizi di sharing economy.
Se la sente di suggerire, con gli occhi di chi osserva l’Italia dall’estero, una ricetta che possa favorire la l’economia della condivisione?
Come ho detto, riduzione del peso burocratico su piccole e medie imprese, agevolazioni per le startup, regolamentazione che non soffochi le nuove imprese e in generale, apertura verso progetti innovativi.
Nel suo articolo prevede che anche nella sharing economy ci possa essere un’Italia a due velocità con il nord che corre e il sud che stenta. Come si può evitare questo?
Penso che in questo momento il divario fra nord e sud per quanto riguarda lo sviluppo della sharing economy non possa essere evitato. Non è un caso che questo tipo di attività fioriscono soprattutto in città relativamente ricche, avanzate dal punto di vista culturale e digitale, meglio se con un forte senso di comunità (l’ambiente urbano è necessario alla sharing economy, per questo è più difficile parlare di paesi). Queste caratteristiche, purtroppo, mancano in molte città del sud, compresa Roma, che comunque devono affrontare problemi ben più importanti e radicati. Sono dell’idea che per il momento si debba lasciare che le diverse città italiane promuovano tali servizi indipendentemente, e allo stesso tempo si individuino e combattano i problemi delle città del sud alle loro radici. I progetti della sharing economy nascono, in genere, spontaneamente, e necessitano di alcune condizioni di base che molte città del Sud ancora non possono offrire.
Ci sonoi stati alcuni provvedimenti giudiziari (caso uber) oppure un atto del del ministero dello sviluppo economico che obbliga chi cucina a casa propria (caso Gnammo) al pagamento e alla presentazione di una dichiarazione di inizio attività che fanno riflettere sulla necessità di una normativa per regolamentare i servizi di sharing. Lei sarebbe favorevole o pensa che ci possa essere il rischio di ingessare una forma di economia nascente?
Per quanto riguarda casi come Gnammo, Airbnb o UberX/UberPop, credo che ci sia un errore di fondo nell’etichettare come una attività economica tradizionale. Il fondamento della sharing economy è proprio il suo aspetto informale, spontaneo e flessibile che non è replicato da nessun altro modello di business. Regolamentando rigidamente queste caratteristiche, si rischierebbe di soffocare, o comunque impedire la piena realizzazione, dei progetti legati all’economia condivisa. Molti si lamentano che imprese non regolate possano bypassare alcuni requisiti legali a cui le imprese tradizionali devono attenersi (standard igienici, qualificazioni ecc.). La soluzione potrebbe essere una forma di legislazione interna come quella nata nel Regno Unito (SEUK è una piattaforma legale e amministrativa con un codice preciso che unisce le varie attività e imprese di sharing economy), oppure un programma di regolamentazione ad hoc, che tenga conto delle caratteristiche fondamentali dei servizi condivisi e la loro differenza dal modello di business tradizionale.
Ci sono alcuni studi (Airbnb su impatto su Atene e Madrid o uno pubblicato in UK realizzato da Intuit) che hanno calcolato il ritorno economico per i soggetti privati che decidono di diventari attori della sharing economy. Secondo lei la sharing economy può essere un mezzo che può contribuire, in una fase non felicissima per l’economia e per le famiglie italiane, alla ripresa economica e indirettamente a spingere i consumi?
Sono fermamente convinta che la sharing economy possa contribuire in modo significativo alla ripresa economica di determinate comunità e centri urbani, nonostante lo sviluppo del settore non sia abbastanza omogeneo da garantire e guidare la ripresa dell’intero Paese. Come ho detto sono necessarie alcune condizioni – accesso a internet e avanzamento tecnologico in primis – ma soddisfatte queste io credo che ci sia un grande potenziale per le famiglie italiane di trarre profitto dalle attività di sharing. Affittare una stanza in disuso, offrire la propria cucina e la propria tavola, condividere un viaggio in macchina per risparmiare sul carburante sono tutte attività che possono aiutare in modo sostanziale una nuova spinta ai consumi. Per questo ritengo che legislazioni e regolamentazioni troppo rigide possano essere particolarmente dannose: molto spesso sono famiglie o singoli che svolgono questo genere di attività per arrotondare, o come secondo lavoro, e in quanto tali queste iniziative non possono essere regolate e tassate come business tradizionali. La sharing economy è un esempio di capitalismo democratico, a cui tutti possono partecipare investendo una parte modesta di capitale, molto spesso ‘immobile’ fino a quel momento (una camera in disuso, per esempio), condividendolo con la comunità a prezzi competitivi e generando profitti per sé e per gli altri. Inoltre, e questo è un punto che è importante sottolineare, le attività della sharing economy potrebbero essere la risposta all’insostenibilità del modello economico di mainstream. Condividere – invece di semplicemente sfruttare – oggetti e servizi permette di risparmiare su risorse e costi e potrebbe risultare nell’evoluzione del modello capitalista in uno nuovo, più sostenibile a livello economico e ambientale.
In Usa la sharing economy è entrata nel dibattito tra i possibili candidati alle prossime elezioni per la presidenza USA relativamente alla tutela dei lavoratori. ha una posizione in merito?
Credo che la posizioni più chiare sulla sharing economy siano state offerte dai candidati democratici Clinton e Sanders. Sanders in particolare è rimasto fedele ai suoi ideali politici nel dichiarare ferma opposizione a imprese del genere, per timore delle ripercussioni negative per gli impiegati, che in aziende come Uber non possono usufruire di contributi, protezioni e i cui diritti lavorativi sono poco chiari. D’altro canto Clinton ha sì, espresso preoccupazione per quanto rigaurda i rischi che corrono gli impiegati ‘irregolari’ di compagnie come Uber, ma si è anche detta consapevole delle potenzialità della sharing economy nello sviluppo di nuovi servizi innovativi e nella creazione di servizi condivisi che siano di beneficio alla comunità. Alcuni Repubblicani, tradizionalmente pro-business, si sono dichiarati a favore della sharing economy, ma non hanno offerto spunti particolarmente originiali per la discussione. Mi aspetto comunque che i due candidati per le elezioni di Novembre 2016 dovranno affrontare il tema con particlolare attenzione: la sharing economy è nata proprio nel polo d’innovazione americano della Sylicon Valley, ed è tutt’oggi un argomento che divide l’opinione pubblica. Ritengo comunque che un approccio alla Clinton, cautamente favorevole, sia preferibile a un soffocamento definitivo delle varie compagnie che offrono servizi di sharing economy. Gli Stati Uniti sono da sempre all’avanguardia nell’innovazione economica, e credo che l’intervento del nuovo presidente sarà fondamentale per preservare, incoraggiare e regolare (poco e dove serve) la sharing economy, ed essere da esempio ad altri governi alle prese con simili problematiche.
Ultima domanda: a Londra, la città in cui vive, qual è lo stato di salute dell’economia della condivisione? ci sono società/servizi ai quali l’Italia potrebbe ispirarsi?
Londra è da sempre città d’avanguardia, e dunque una delle prime a sperimentare con la sharing economy. Il servizio di bike sharing è particolarmente popolare e funziona perfettamente, ma in generale la stragrande maggioranza delle attività innovative e delle startups nasce ed è incubato nell’ambiente cosmopolita londinese. Molto popolari sono anche i servizi di peer-to-peer lending, che sono estremamente utili per la nascita e lo sviluppo di ancora nuove imprese. Il sistema della sharing economy londinese è esemplare in quanto, in generale, si mantiene e finanzia autonomamente attraverso crowdfunding e crowdsourcing, ma è comunque incoraggiato da un governo aperto al libero mercato e concentrato sull’innovazione. L’atmosfera giovane, dinamica e cosmopolita della città la rende un hub desiderabile per la nascita e lo sviluppo di attività di condivisione e sviluppo tecnologico. Anche il più recente impegno ecologico del sindaco Boris Johnson hanno causato maggiore popolarità in servizi di sharing sostenibili.
A Londra, inoltre, è stato fondato il SEUK (Sharing Economy UK), il primo tentativo spontaneo di unire e regolare i servizi di sharing economy nel paese. Questo tipo di iniziativa potrebbe essere la risposta al problema italiano della regolamentazione dei servizi di sharing; ma in generale è la mentalità anglosassone, e in particolare londinese, che gli italiani dovrebbero prendere a modello per un più fiorente sviluppo dell’economia della condivisione.




