Tasse sull’home sharing: FIAIP, Airbnb e Homeaway contro la cedolare secca


FIAIP (la principale associazione di categoria del settore immobiliare con circa 12mila agenzie immobiliari e piu’ di 50mila operatori), Airbnb (il colosso della sharing economy e dell’home haring) e Homeaway (marketplace di case vacanze del gruppo Expedia) sul tema tasse in Italia uniscono le forze mediatiche e passano all’attaco. I tre soggetti hanno infatti diffuso un documento congiunto in cui scrivono che: “Pubblicato a due giorni lavorativi dalla prima scadenza prevista dal DL 50/2017, il provvedimento dell’Agenzia delle Entrate non ha fornito i chiarimenti auspicati né prevede alcuna tempistica di adeguamento per gli operatori coinvolti, rimandando a ulteriori specifiche tecniche che verranno comunicate in un non precisato futuro. Questa confusione nel pieno dell’estate non è certo la risposta a quanti parlano di turismo come volano di crescita”. La lettera diffusa dall’ufficio stampa di Airbnb, il colosso della sharing economy, continua: “Noi operatori continuiamo a trovarci nell’impossibilità tecnica di adeguarci a quanto previsto dalla manovrina perché l’Agenzia, come prevedibile, non ha potuto che ribadire quanto già detto dalla legge senza aggiungere indicazioni pratiche sostanziali. Lo scorso 31 maggio 2017, accettando un ordine del Giorno alla Camera dei Deputati, il Governo si era impegnato a delegare proprio all’Agenzia la possibilità di dare concreta attuazione alle norme, nel rispetto dei diversi modelli di funzionamento tramite accordi con le piattaforme e i soggetti coinvolti. Ovviamente questo non è sin qui avvenuto. Confidiamo che si possa aprire un confronto serio su accordi caso per caso, nel rispetto delle diversità del mercato e degli operatori, a beneficio di chi ospita, chi viaggia e del settore turistico nel suo complesso”. Secondo FIAIP, Airbnb e Homeaway “Il legislatore, contrariamente anche a quanto prevede lo statuto del contribuente, vorrebbe che piattaforme mondiali e centinaia di operatori sul territorio, nel corso di un fine settimana: 

– Dedicassero migliaia di ore di sviluppo e ingegneria per modificare portali attivi e operanti (e perfettamente funzionanti) in maniera identica in tutto il mondo.

– Formassero migliaia di collaboratori su tutto il territorio nazionale, informare centinaia di migliaia di proprietari e riscattare da loro il 21% delle transazioni antecedenti il 12 luglio.

– Coinvolgessero un’azienda o uno Studio professionale italiano conferendogli oneri e responsabilità enormi in mancanza di ogni tipo di garanzia e certezza sulla possibilità di adempiere correttamente agli obblighi del caso, non fosse altro che per le 20 diverse interpretazioni regionali della locazione turistica. Mettiamo i tempi che lo Stato impone alle imprese a confronto con quelli che riserva a sé: 2 anni per ideare e introdurre la cedolare secca, almeno 5 – e siamo ancora in attesa – per il decreto attuativo dell’imposta di soggiorno”. “Come operatori del settore – concludono FIAIP, Airbnb e Homeaway –  ci battiamo per difendere i nostri associati ed utenti da possibili discriminazioni solo per aver deciso di usare dei siti internet o professionisti per la gestione delle loro case”. 

 

Airbnb, niente nuova tassa in arrivo in Italia. Lo dice Matteo Renzi 


Dopo alcune indiscrezioni circolate nella serata di ieri in relazione una possibile nuova tassa sugli affitti brevi, vale a dire quelli intermediati sulle piattaforme di home sharing, l’affitto tra privati dell’era della sharing economy, tra cui Airbnb, è arrivata la presa di posizione del Presidente del Consiglio italiano tramite Twitter. “Nessuna nuova tassa in legge di bilancio, nessuna. Nemmeno Airbnb. Finché sono premier io, le tasse si abbassano e non si alzano #avanti”, ha scritto sul social Matteo Renzi. Per i proprietari di case e stanze in affitto sulla piattaforma, si era parlato di una tassazione al 21% dovuta all’applicazione di una cedolare secca. La proposta di una nuova tassa di questo tipo era contenuta in un emendamento del Pd (il partito di maggioranza) alla prossima legge di bilancio approvato nelle ultime ore dalla Commissione Finanze della Camera dei Deputati ed ora destinato a essere sottoposto alla Commissione Bilancio. La norma prevede, o prevedeva visto il secco stop del Primo Ministro, anche l’istituzione di un apposito registro all’Agenzia delle Entrate e di una clausola antievasione, con la responsabilità “in solido” sul pagamento delle tasse da parte del privato e dell’intermediario (Airbnb e sui simili). Lo stop dichiarato su Twitter da Matteo Renzi è certamente una buona notizia per quella parte, sempre più crescente, dell’Italia che guarda con favore a tutte le forme della sharing economy

UK, dal 2017 franchigia fiscale annuale di 1.000 sterline per la sharing economy. Un esempio da imitare

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Mentre in Italia si sta discutendo di un provvedimento normativo per regolamentare la sharing economy, il governo UK ha annunciato il 16 marzo una interessante novità in tema di tasse e sharing economy che verrà introdotta oltremanica a partire dall’aprile 2017. Con le nuove regole il Governo britannico ha introdotto, infatti, una franchigia fiscale del valore di mille sterline che consentirà agli operatori non professionali che decideranno di mettere nel circolo della sharing economy un proprio bene di godere ogni anno sui primi £ 1.000 guadagnati un’esenzione totale in termini di tasse. La franchiggia, che varrà anche per coloro che decideranno di vendere  in modo occasionale oggetti da loro stessi creati, è un modo con cui l’esecutivo della Gran Bretagna vuole favorire lo sviluppo dell’economia della condivisione e della micro imprenditorialità. Il Cancelliere dello Scacchiere George Osborne durante il suo intervento in Parmalmento con cui ha presentato il Budget 2016, ha dichiarato che i beneficiari di questo provvedimento saranno circa mezzo milione di britannici. “Stiamo aiutando il nuovo mondo di micro-imprenditori che vendono i servizi on-line o affittano le loro case attraverso internet”, ha detto al Parlamento. “Il nostro sistema fiscale dovrebbe aiutare queste persone così sto introducendo due nuove franchigie fiscali ciascuno del valore di £ 1.000 l’anno, sia per proventi da negoziazione sia per la proprietà. Non ci saranno moduli da compilare, nessuna tassa da pagare – è una riduzione delle imposte per l’era digitale e almeno mezzo milione di persone ne trarranno beneficio”. Con questo provvedimento gli UK si confermano all’avanguardia in tema di attrazione degli operatori della sharing economy (gli operatori che potrebbero trarre un vantaggio da questa novità fiscale pensiamo possano essere tanti tra cui Airbnb e JustPark solo per citare i principali)  e più in generale di liberismo economico e di incentivazione dell’imprenditorialità. Da italiani, invece, non rimane che sperare che questo provvedimento sia preso da esempio dal nostro legislatore. Attualmente però la direzione presa in Italia sembra essere ben diversa: nella proposta di legge presentata alcune settimane fa da alcuni parlamentari si prevede una tassazione del 10% per i primi 10 mila euro guadagnati, da operatori non professionali, attraverso la condivisione dei propri beni.  

 

 

Di seguito la parte riguardante le novità fiscali sulla sharing economy tratt dal sito del Governo UK.
10. New tax allowances for money earned from the sharing economy
From April 2017, there will be two new tax-free £1,000 allowances – one for selling goods or providing services, and one income from property you own.
People who make up to £1,000 from occasional jobs – such as sharing power tools, providing a lift share or selling goods they have made – will no longer need to pay tax on that income.
In the same way, the first £1,000 of income from property – such as renting a driveway or loft storage – will be tax free.

A Milano parte il baratto amministrativo

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Foto Comune di Milano

Nell’era della sharing economy, il Comune di Milano rafforza la propria attenzione al sociale e al welfare della città con l’adozione del Baratto Amministrativo, pratica collaborativa prevista dal decreto “Sblocca Italia” che coniuga il rispetto delle regole nel pagamento dei tributi con la tutela sociale.Il Comune del capoluogo lombardo ha, infatti, pubblicato l’avviso pubblico per la presentazione delle domande (link: https://goo.gl/4jfo1A), da parte di cittadini che si trovano in condizioni di morosità incolpevole, per accedere al baratto ed estinguere così i debiti con l’Amministrazione, prestando un’attività lavorativa temporanea come la manutenzione e l’abbellimento di beni comunali. Gli interessati hanno 60 giorni di tempo per presentare domanda. Il baratto è possibile per estinguere debiti maturati fino al 2013 e per un valore minimo di 1.500 euro, riferiti a tributi comunali quali Ici, Imu, Tarsu, Tares e Tari, violazioni al Codice della strada (le classiche multe dei vigili urbani) o a entrate patrimoniali quali canoni e proventi per l’uso dei beni comunali, corrispettivi e tariffe per la fornitura di beni e la prestazione di servizi. “Milano – ha spiegato la vicesindaco e assessore al Bilancio Francesca Balzani – è la prima grande città italiana che avvia questa modalità di collaborazione con i cittadini capace di coniugare solidarietà con equità. Il rispetto delle regole nel pagamento di sanzioni o tributi è fondamentale, dal momento che tali risorse sostengono la capacità del Comune di erogare i servizi ai cittadini. Ci sono però situazioni particolari in cui possono trovarsi i contribuenti e il baratto rappresenta un’opportunità importante per chi è in difficoltà economica”. Per accedere al baratto, infatti, è necessario dimostrare che l’impossibilità di pagare è legata alla perdita o alla riduzione della capacità reddituale del nucleo familiare a causa di licenziamento, riduzione di reddito consistente (oltre il 30%) per cassa integrazione o riduzione di orario di lavoro, mancato rinnovo del contratto, cessazione di attività libero professionale, problemi di salute o variazioni nella composizione del nucleo familiare che provocano la riduzione del reddito. I requisiti di base richiesti sono la residenza nel Comune di Milano o la titolarità di una ditta individuale con sede a Milano, la cittadinanza europea o, per i cittadini stranieri, il possesso di permesso di soggiorno valido, avere almeno 18 anni, non essere destinatario di sentenza passata in giudicato, decreto penale di condanna per alcuni reati o delitti – ad esempio contro la Pubblica amministrazione, il patrimonio o l’ordine pubblico – avere un Isee non superiore a 21mila euro ed essere in condizioni psico-fisiche adeguate per svolgere l’attività del baratto. Per presentare domanda si può scaricare e compilare il modulo presente sul sito del Comune o ritirarlo negli uffici dell’anagrafe e nei Consigli di Zona. Per ciascuna ora di lavoro prestata viene riconosciuto il valore di 10 euro in analogia alla prestazione netta riconosciuta dal voucher Inps. E’ prevista la copertura assicurativa per la responsabilità civile verso terzi connessa all’attività e per gli infortuni. Palazzo Marino ha identificato i primi progetti per il “Baratto amministrativo”. In particolare, la pulizia e lo sgombero di cantine, la tinteggiatura di locali e scale, la verniciatura della recinzione e un intervento straordinario di pulizia dei pavimenti in pietra nella sede della Zona 4, la tinteggiatura dei locali di ingresso della Zona 6, il rifacimento dei servizi igienici del Cam Jacopino in Zona 8, nonchè vari interventi di tinteggiatura in diversi Cam (Pecetta, Lampugnano, Lessona e Jacopino) della stessa Zona. Ulteriori progetti saranno identificati e inseriti nei prossimi avvisi pubblici. L’Amministrazione ha anche pubblicato un avviso pubblico per individuare operatori, associazioni o imprese che potranno svolgere l’importante ruolo di tutor o di sponsor nella gestione dei progetti del “Baratto amministrativo”. In particolare, compito del tutor sarà quello di coadiuvare l’Amministrazione in tutto il percorso, dalla selezione delle candidature, all’affiancamento dei cittadini nello svolgimento del lavoro fino al controllo delle prestazioni svolte. La relazione finale del tutor sarà la base per il rilascio, a cura di Palazzo Marino, dell’attestazione del buon esito del baratto. Gli sponsor saranno invece partner preziosi dell’Amministrazione, alla quale potranno offrire un finanziamento oppure materiali e altre forniture funzionali allo svolgimento del baratto.

Successo per il crowdfunding della start up che trasforma gli ex detenuti in impreditori

Foto: Refoundry.org

Foto: Refoundry.org

L’articolo 27 della Costituzione italiana enuncia “Le pene (…) devono tendere alla rieducazione del condannato”. Nella pratica è risaputo, invece, di quanta diffidenza ci sia nella società civile nei confronti di coloro che hanno trascorso un periodo in galera che, quindi, spesso non avendo la possibilità di ricostruirsi una vita nella totale legalità e finiscono per commettere nuovi reati. La recidiva secondo alcuni dati negli Stati Uniti è molto alta: il 67% delle persone che escono da un carcere vengono riarrestate nei successivi 36 mesi. Per cercare di andare contro questa triste tendenza Tommy Safian e Cisco Pinedo hanno fondato Refoundry, una società statunitense che dopo un anno di formazione e di business planning concede agli ex carcerati un finanziamento per lanciare un’attività imprenditoriale che a sua volta destinerà parte dei ricavi a finanziare un’altra nuova impresa costituita da altri ex galeotti. L’idea è, quindi, quella di cercare di creare una catena, in grado di autosostenersi, che promuova il reinserimento sociale, che non può che passare dal lavoro, degli ex detenuti. Il benenifico che Refounfry vuole produrre a vantaggio della collettività è plurimo: maggiore sicurezza ma anche cercare di far diminuire la spesa pubblica assorbita dal sistema penitenziario che annualmente drena parecchi denari pubblici: è stato calcolato che solo a New York City ogni carcerato costa alla collettività 167 mila US$. Adesso Refoundry ha lanciato una campagna di crowdfunding, il finanziamento collettivo della sharing economy, con l’obiettivo di raccogliere 45 mila US dollari, per completare i primi progetti di rinserimento. Al momento quando mancano due giorni alla conclusione della raccolta fondi i promotori, tramite Kickstarter, hanno già centrato il target di raccolta incamerando quasi US$ 50 mila.

Refoundry (Video)

Airbnb può contribuire alle entrate dei comuni. A Jersey City i ricavi stimati sono di 1 milione di US dollari all’anno

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Il sindaco di Jersey City Steven M. Fulop ha annunciato una proposta che in caso di approvazione definitiva renderà la città da lui amministrata la prima della tri-state area – cosi viene definita dagli americani la zona metropolitana di New York City che si estende negli Stati di New York, New Jersey e Connecticut – a consentire ufficialmente Airbnb. La misura normativa annunciata prevede essenzialmente due punti: da una parte la possibilità per i proprietari di casa della città di Jersey di affittare tramite la piattaforma di home sharing la propria casa per meno di 30 giorni e dall’altra incarica Airbnb di raccogliere dai guest il pagamento della tassa di soggiorno al pari di quanto fanno gli hotel.

“A Jersey City, abbracciamo il futuro – e questo è ciò che le aziende come Airbnb sono: il futuro “, ha detto Sindaco Fulop, “Airbnb è incredibilmente popolare e in crescita” ha aggiunto il primo cittadino. “Siamo grati per l’opportunità di lavorare con il Consiglio comunale e il sindaco Fulop per sviluppare le regole per la condivisione della casa che aiuteranno le famiflie della middle class di Jersy City”, ha detto Max Pomeranc, Responsabile regionale delle politiche pubbliche di Airbnb. “Questa nuova legge genererebbe maggiori entrate per Jersey City e darebbe un contributo alle numerose famiglie che condividono le proprie case” che con i guadagni generati dall’attività di hosting pagano le proprie spese correnti. Con questo accordo Airbnb sarebbe responsabile per il pagamento e la raccolta del 6% di imposta di soggiorno. Secondo alcune stime citate dal sindaco nel comunicato stampa questo provvedimento dovrebbe incrementare i ricavi della Città di circa US$ 1 milione all’anno.

Milano adotta il baratto amministrativo

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Nell’era della sharing economy, il Comune di Milano rafforza la propria attenzione al sociale e al welfare della città con l’adozione del Baratto Amministrativo, provvedimento con cui i cittadini milanesi, entro precisi limiti, potranno permutare il proprio debito con lavori di pubblica utilità.
L’iniziativa, che entra di diritto nella categoria della social economy, resa possibile dal Decreto Sblocca Italia, sarà attiva dal gennaio 2016. Da allora i milanesi in difficoltà economiche e che risultano, per cause di forza maggiore (morosità incolpevole) insolventi con il Comune, potranno ricevere dei vantaggi fiscali partecipando col proprio tempo alla gestione dei beni pubblici. Per esempio contribuendo alla pulizia di strade, edifici e spazi verdi, o attivandosi con interventi di decoro urbano e valorizzazione dei quartieri.
Si potrà accedere al ‪ Baratto Amministrativo‬ per estinguere morosità relative a tributi comunali (come ici, imu o la tassa rifiuti), multe ed entrate patrimoniali (per esempio affitti e rette scolastiche) per debiti pregressi fino al 2013 e con valore minimo di 1.500 Euro. A richiedere questa forma di condivisione lavoro/debito potranno essere le persone fisiche e i titolari di ditta individuale residenti nel capoluogo lombardo con un ISEE fino a 21.000 Euro. Con questa iniziativa Milano diventa
la prima grande città d’Italia a adottare questa formula di baratto già sperimentato in alcuni piccoli centri.